In un articolo semiserio, Cosma Shalizi prende spunto da una recente lettura, Red Plenty, e cerca di quantificare le risorse computazionali necessarie per affrontare, e risolvere, il problema della pianificazione economica.
In parole povere, la risposta e' - troppe. La complessita' del problema aumenta in modo piu' che lineare con il numero di beni e servizi. Per fare un buon lavoro, il Pianificatore Centrale deve sapere tutto riguardo a input e output di tutti i processi produttivi, e per di piu' cercare di interpretare le preferenze dei consumatori (ammesso, ovviamente, che al Pianificatore interessi soddisfare queste preferenze).
L'autore propone (citando Trotski!) che l'unica soluzione per il pianificatore e' di specificare le proporzioni nelle quali ciascun bene/servizio vada prodotto, e lasciare che il mercato faccia arrivare le informazioni dove servono tramite un sistema di prezzi massimizzando la produzione totale. Il "mercato" qui sarebbe l'interazione di consumatori e aziende, dove le aziende sono delle entita' la cui missione e' produrre cose e massimizzare profitti, come in un'economia di mercato. La differenza e' che le aziende sono delle unita' fittizie create dal pianificatore. Non mi e' chiaro, dalla discussione, dove deriva l'incentivo alle aziende di massimizzare profitti visto che non possono trattenerli. Se il pianificatore mi nominasse amministratore delegato di un'azienda socialista, probabilmente mi metterei a massimizzare il beneficio privato - non il profitto. Mi rendo conto che, data l'esperienza sovietica, ma anche solo l'esperienza italiana con l'economia di stato, fare un argomento simile e' come sparare sulla croce rossa. In ogni caso, anche con un sistema di pseudoaziende e pseudoprezzi, resterebbe al pianificatore l'arduo compito di decidere quali beni vadano prodotti in quali proporzioni (e, aggiungo io, quante risorse vadano allocate allo sviluppo di nuovi prodotti).
Il che ci porta a un altro passo nella direzione di capire di che cosa stiamo parlando. Ogni tanto leggo un qualche paper di biologia evolutiva e piano piano mi sono reso conto che i biologi (almeno, quei biologi che hanno un'inclinazione alla matematica) hanno sviluppato indipendentemente una sostanziale parte di economia e teoria dei giochi. La motivazione viene dalla teoria dell'evoluzione: spiegare come determinati tratti genetici possano prevalere in una popolazione, o come diverse popolazioni possano assestarsi in un equilibrio. Poiche' gli animali non si scambiano moneta, il sistema deve convergere verso l'equilibrio grazie soltanto a un principio: la selezione naturale.
A questo riguardo, noi economisti siamo molto piu' confusi. La nostra analisi e' sempre basata sull'ottimizzazione, ma la forza che permette al sistema di convergere verso un equilibrio e' talvolta la volonta' degli agenti (per esempio, l'amministratore delegato di un'azienda che cerca di massimizzare il profitto dando per scontati i prezzi di input e output); talvolta la selezione naturale (per esempio, la determinazione delle proporzioni ottimali di prodotti). Nel caso del pianificatore, la volonta' di un burocrate si sostituisce alla selezione naturale, e ovviamente non e' garantito che avremo risultati migliori (o peggiori). Persino in un'economia di mercato (ritornando al post di Cosma Shalizi) la maggior parte dell'attivita' economica avviene all'interno di aziende nelle quali vige un sistema "sovietico" di pianificazione. Suppongo ci siano numerosi studi sia teoretici che empirici sui limiti ottimali dell'azienda - studi che prima o poi leggero', seppure in forma condensata - i quali piu' o meno consciamente fanno luce su "quale principio ottimizzante sia il piu' efficace in determinate condizioni".
Mi pare tuttavia che la distinzione che ho appena tracciato vada presa piu' seriamente di quanto e' stato fatto finora. Non si puo' semplicemente scrivere una funzione obiettivo, trovarne la derivata prima, e trovare il punto (o i punti) dove la derivata e' zero. E' utile anche avere presente qual e' la forza che spinge il sistema verso questo punto, per capire se e quanto velocemente ci arrivera'.
C'è un aspetto su cui il pianificatore è superiore al mercato. Il che non basta affatto (come dimostrato storicamente) a fare del pianificatore una soluzione migliore del mercato, ma fa luce sul ruolo che, a mio parere, dovrebbe avere lo Stato nell'economia (e anche Cosma accenna a questo).
RispondiEliminaIl pianificatore potrebbe dare lo stesso peso alle preferenze di ogni individuo. Non so se si tratti della scelta più "giusta" (esiste un concetto di merito anche in presenza di pianificazione?), ma è un modo di sfuggire alla crudezza della pura Pareto efficienza.
Il mercato è in grado di andare, almeno approssimativamente, nella stessa direzione?
No, nè teoricamente, nè empiricamente. Il motivo è la diseguale distribuzione del potere di acquisto fra gli individui. Una parte di questa è importante (necessaria?): premia il merito e quindi fa da carburante alla carta storicamente vincente del mercato, la spinta ad innovare. E forse riflette anche le preferenze individuali (possedere molti oggetti per me è una scocciatura e quindi sto benissimo con la mia borsa di dottorato). Ma una parte rilevante delle disuguaglianze dà solamente luogo ad "ingiustizie". In primo luogo, è spesso ereditaria, quindi non corrisponde a nessun merito (una buon motivo per tassare l'eredità, argomento da approfondire). In secondo luogo, fa sì che il mercato si prodighi di servire i capricci più cretini di qualcuno (la permanente al cane) e non riesca a soddisfare le esigenze elementari di altri. E qui deve intervenire lo Stato, con la redistribuzione. La redistribuzione "ideale" è difficile da quantificare e sicuramente qualche distorsione va accettata. Ma se fosse realizzata bene, sarei addirittura favorevole a lasciare al mercato compiti come la sanità. Anzi no, per una questione di asimmetrie informative e perchè se uno deve curarsi non è giusto che debba distruggere il suo potere di acquisto per questo, quindi mi autosmentisco subito. Ma il concetto è passato.
Come ridistribuisce oggi uno Stato come l'Italia? Male. Ho l'impressione che la classe media starebbe meglio senza pagare le tasse e pagandosi i servizi.